Il vescovo Ruzza alla celebrazione nella parrocchia dedicata alle due sorelle martiri del III secolo, patrone della diocesi
da “LazioSette”. Articolo di Simone Ciampanella
È l’11 luglio, siamo nella comunità delle Sante Rufina e Seconda, è notte, l’urlo di un folto gruppo ragazzi commenta la vittoria dell’Italia nel Campionato europeo di calcio a Wembley in Inghilterra. Dietro di loro alcuni genitori e nonni. Non è la prima volta che seguono le gare di Euro 2020 assieme nella parrocchia di Casalotti: la comunità è diventata la loro casa da alcune settimane. Hanno animato l’OrEst, (l’oratorio estivo) vivendo giorno dopo giorno accanto, costruendo amicizia e collaborazione, sentendosi parte di una famiglia che li accoglie.
Nel pomeriggio questi giovani sorridenti come le loro magliette gialle con la scritta “crew” (equipaggio in inglese) hanno accolto il vescovo Gianrico Ruzza per ricordare assieme Rufina e Seconda, le patrone diocesane di Porto-Santa Rufina, antica Chiesa nata dal loro sacrificio e da quello del vescovo Ippolito.
L’attenzione alle disposizioni anti-Covid 19 ha imposto una processione ristretta ai soli sacerdoti. In silenzio verso il vicino Santuario di Schoenstatt il corteo ha attraversato la piazza davanti alla chiesa parrocchiale dedicata a Santa Gemma raccogliendo il segno della croce degli automobilisti. Poi, una sosta davanti alla cappellina della Madre tre volte ammirabile in contemplazione delle protettrici. Il suono delle cicale, il caldo, la natura custodita nel santuario hanno rievocato il giorno decisivo nella vita delle due donne, mentre venivano portate qui nella Silva Nigra per essere uccise durante la persecuzione di Valeriano e Gallieno a metà del III secolo. Appartenevano a una nobile famiglia romana Rufina e Seconda.
Figlie di Asterio e Aurelia e fidanzate di Armetario e Verrino, furono denunciate dai loro ragazzi dopo che questi avevano abiurata la fede cristiana. Dopo un tentativo di fuga, furono condotte innanzi al prefetto Giunio Donato, il quale tentò di convincerle a sacrificare agli dèi. Rimasero inamovibili, inutili le torture a cui furono sottoposte. Alla fine ne fu decisa la morte: ad una fu tagliata la tesa, l’altra cadde sotto i colpi del bastone. Era il 10 luglio, giorno della loro memoria liturgica. La devozione delle prime comunità cristiane rinominò quella Silva dicendola Candida, perché il sangue dei martiri ne aveva purificata la terra. I quartieri di questa zona di Roma portano ancora questi nomi, Selva Candida e Selva Nera. Nomi attraverso cui gli abitanti, in particolare gli ultimi arrivati a popolare i palazzi cresciuti come funghi negli ultimi anni, possono riscoprire la storia del territorio e su questa costruire l’identità di una comunità. La processione per quanto breve e ridotta ha espresso un segno di premura della Chiesa intenta a ricordare la storia di fede nata in questi spazi. D’altronde, chi vede un vescovo camminare su un anonimo marciapiede di periferia al meno può chiedersi: «Che cos’è?» e forse anche: «Perché lo fanno?». Alla base di quello che può diventare stupore verso dei gesti e delle scelte c’è Il vescovo Ruzza alla celebrazione nella parrocchia dedicata alle due sorelle martiri del III secolo, patrone della diocesi la questione fondamentale della fede cristiana. «A che cosa hanno creduto Rufina e Seconda? È la domanda che forse fecero i persecutori, e che ognuno di noi deve porsi» ha detto il vescovo nel giardino della chiesa dove ha presieduto la Messa con il parroco padre Aurelio D’Intino, il vicario foraneo don Lorenzo Gallizioli e altri sacerdoti. «Credono nella risurrezione» è la risposta, ovvia ma non scontata tra i cristiani, precisa il presule. Alla fine si gioca qui l’adesione a Cristo, alla promessa di Dio rivelata da Gesù: «Siamo predestinati ad essere figli come è stato figlio lui come ci ha ricordato l’apostolo Paolo quando ci dice scelti per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo».
Il discorso diventa decisivo per i i più giovani forse delusi dagli adulti nella vita di fede e nelle scelte, a loro bisogna ripetere con convinzione l’annuncio «Ragazzi voi siete amati e considerati dal Signore, e tutti assieme siamo rigenerati per la resurrezione di Cristo». Nella testimonianza delle due sorelle si manifesta la libertà insegnata da Gesù, quella libertà a cui loro hanno corrisposto rimanendo salde nella fede del Vangelo e pagando la loro scelta a caro prezzo perché «il potere uccide chi non la pensa come lui». Per un cristiano vivere questa libertà significa rimanere in ascolto della grazia di Dio per ascoltare e accogliere la sua volontà: che tutto sia ricondotto a Cristo perché tutto sia lui. Ogni cosa nel cielo e nella terra trova in lui compimento. Dunque con gli altri e con il creato il cristiano sa di dover tessere relazioni di fraternità. La preghiera per i migranti, molti dei quali morti in mare, proposta dalla Conferenza episcopale italiana alle parrocchie da leggere l’11 luglio, festa di San Benedetto patrono d’Europa, ha ricordato la responsabilità dei Paesi europei per le sofferenze vissute da chi cerca di fuggire da situazioni invivibili. Anche qui, ha sottolineato il vescovo, si tratta di fare scelte cristiane rispetto ad altre. Il fenomeno migratorio, come ribadito più volte dal presule, ha un legame chiaro con la salute natura, anch’essa in attesa di essere ricapitolata in Cristo. Le mutate condizioni climatiche hanno origine nei gravi danni arrecati all’ambiente per le scelte fatte dall’umanità. La strada da seguire allora è quella «del cambiamento del cuore e degli stili di vita», ha concluso il vescovo augurando alle persone «di vivere nella Parola di Dio» che ci accompagna nella conversione e «ci riconduce alla felicità, attraverso una storia di amore e di salvezza, per vivere per sempre».
La celebrazione continua nel clima familiare e raccolto con cui è iniziata, e proprio come una famiglia il pensiero della comunità per bocca di padre Aurelio va al piccolo Matteo, mancato da poco tempo per una malattia. Il vescovo ha scambiato delle parole con i genitori, Andrea e Viviana, e con la sorella Lucrezia: lo hanno ascoltato con gli sguardi di chi ha attraversato la tempesta con il coraggio della fede nel Risorto e con la preghiera di una comunità intera. Il 21 luglio alle 21 ci sarà la finalissima del 1° memorial Matteo Miccoli dedicata al bambino che nel campo della parrocchia ha iniziato a tirare i calci al pallone nella bella famiglia dell’Asd Santa Gemma. In suo ricordo i maestri infioratori dell’Associazione nazionale infiorate artistiche Infioritalia realizzeranno durante il giorno un quadro di fiori presso la cripta della chiesa, dove riposano le reliquie di Rufina e Seconda. Con loro ora lui contempla il volto del mistero cantato nel salmo: «Amore e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno».